Andrea Spagnoli – Avvocato tributarista
Il trattamento IVA delle esportazioni c.d. “franco valuta” è stato recentemente chiarito dall’Agenzia delle entrate. Secondo la risposta a interpello n. 34/2025, le suddette operazioni di esportazione sono fuori campo IVA e non rientrano nelle cessioni all’esportazione disciplinate dall’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972, in quanto non comportano un immediato trasferimento della proprietà dei beni.
Definizione di esportazione “franco valuta”
Le esportazioni “franco valuta”, molto diffuse nella pratica commerciale, si riferiscono a situazioni in cui un soggetto passivo stabilito in Italia trasferisce beni in uno Stato al di fuori del territorio dell’UE senza che ci sia un immediato passaggio di proprietà e, dunque, senza percepire alcun corrispettivo. In sostanza, una volta giunti a destinazione i beni rimangono di proprietà del soggetto (venditore) italiano fino a quando non vengono venduti ai clienti esteri.
Trattamento IVA
Mentre ai fini doganali si verifica un’esportazione, lo stesso non può automaticamente dirsi ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. Infatti, affinché ciò si verifichi è necessario:
- che i beni siano effettivamente trasportati fuori dal territorio dell’Unione Europea;
- che ci sia un trasferimento della proprietà dei beni (o un impegno contrattualmente vincolante per il trasferimento della proprietà al cliente estero).
Secondo l’Agenzia delle entrate (cfr. risposta a interpello n. 34/2025; ris. n. 306/2008), le esportazioni “franco valuta”, in assenza delle condizioni suddette, non rientrano nelle cessioni all’esportazione ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972. Ciò significa che tali operazioni non possono beneficiare della non imponibilità IVA prevista per le cessioni all’esportazione, con la conseguenza che non contribuiscono alla formazione del plafond IVA. Per l’effetto, le successive singole cessioni effettuate durante la permanenza dei beni all’estero debbono considerarsi fuori campo IVA per difetto del presupposto territoriale ai sensi dell’art. 7-bis del decreto IVA.
Tuttavia, lo stesso non può dirsi qualora sia previsto contrattualmente un impegno ab origine alla successiva vendita dei beni (ad esempio nel caso del consignment stock). In tali casi, sono integrati tutti i presupposti per inquadrare l’operazione ai fini IVA come cessione all’esportazione (non imponibile), in quanto sin dall’inizio le merci appaiono vincolate all’esclusivo trasferimento di proprietà al cliente estero (cfr. risposta a interpello 34/2025; risposta a interpello n. 238/2020; ris. n. 94/2013; ris. n. 58/2005).
Conclusioni: l’importanza delle clausole contrattuali
Una attenta articolazione delle clausole contrattuali può comportare un’ottimizzazione della gestione dei flussi dell’imposta sul valore aggiunto, incidendo positivamente anche sulla determinazione del plafond.