Andrea Spagnoli – avvocato tributarista

I transfer pricing adjustment non assumono rilevanza ai fini IVA quando sono diretti ad integrare il margine operativo della controparte del gruppo. Al contrario, diventano rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto quando costituiscono il corrispettivo per la vendita del bene ovvero il saldo di un’operazione precedente.

Si tratta del principio espresso dall’Agenzia delle entrate con la risposta ad interpello n. 266 del 18 dicembre 2024.

Il caso analizzato dall’Agenzia delle entrate

Il chiarimento dell’Amministrazione finanziaria si fonda sulla richiesta presentata da una società (Alfa) con sede nell’UE e registrata ai fini IVA in Italia. Alfa opera con la consociata statunitense (Beta USA), effettuando acquisti intracomunitari ed importazioni di beni per successiva lavorazione, seguiti dalla cessione dei prodotti finiti alla consociata Beta tramite operazioni di esportazione.

Per gli aggiustamenti Transfer Pricing (TP), Alfa emette due fatture per le transazioni con Beta USA:

  • una prima fattura per il 5% del valore totale dovuto (in relazione a ciascuna operazione);
  • una seconda fattura, emessa successivamente, per il 95% rimanente che riflette l’aggiustamento necessario per mantenere il margine operativo di Beta USA in linea con il principio di libera concorrenza (emessa non per singola operazione, bensì per periodo).

I chiarimenti dell’Agenzia delle entrate

Per l’Amministrazione finanziaria, affinché gli aggiustamenti transfer pricing assumano rilevanza ai fini dell’imposta sul valore aggiunto è necessario si tratti di rettifiche:

  • a titolo oneroso;
  • riferite a specifiche cessioni di beni o prestazioni di servizi;
  • direttamente collegate al corrispettivo originariamente pattuito.

In altri termini, le rettifiche da transfer pricing assumono rilevanza IVA quando, in base a specifiche clausole contrattuali, risulta la volontà delle parti di modificare il corrispettivo originariamente pattuito per la transazione intercompany.

Il parere delle entrate si fonda sui principi generali del transfer pricing, il cui obiettivo è consentire una corretta allocazione a livello globale del reddito tra le imprese di un gruppo multinazionale, localizzate in Stati diversi, quando scambiano tra di loro beni e servizi. Per tale ragione, ai fini reddituali, il prezzo di dette transazioni deve riflettere quello applicato da imprese indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza ed in circostanze comparabili (c.d. “arm’s lenght principle”), come previsto dall’art. 9 del Modello OCSE e dall’art. 110, comma 7 del TUIR (Al riguardo, si veda anche la circolare n. 16/E del 24 maggio 2022).

Tuttavia, questa finalità non è riscontrabile nell’IVA il cui obiettivo, come noto, è tassare il consumo di beni/servizi. Per tale ragione, le rettifiche da transfer pricing non concorrono automaticamente alla determinazione della base imponibile IVA, che dipende dal corrispettivo pattuito tra le parti e non dal valore normale del bene o servizio.

Nel caso analizzato, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto che la seconda fattura emessa da Alfa, pari al 95% dell’importo totale precedentemente non addebitato, fosse rilevante ai fini IVA. Secondo l’Amministrazione, infatti, non è plausibile considerare la quasi totalità del valore TP (precisamente, l’importo fatturato a consuntivo) esclusivamente come un aggiustamento del margine operativo e non anche il saldo dell’operazione precedente, considerato che nella TP policy aziendale l’aggiustamento corrisponde al 95% del corrispettivo totale.

Conclusioni

Una documentazione aziendale chiara e dettagliata è essenziale per determinare il prezzo e, di riflesso, la natura dei successivi aggiustamenti transfer pricing. Una documentazione poco precisa porta con sé il rischio di un errato inquadramento ai fini IVA degli aggiustamenti medesimi.

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